Da “messy” a “Messi”: un malinteso da 80 milioni di euro

A volte bastano una pronuncia sbagliata o un'assonanza tra parole di due lingue diverse per creare malintesi e situazioni imbarazzanti

Quando errori di pronuncia e assonanze creano piccoli o grandi equivoci

Scivoloni sotto la passerella

La Settimana della Moda di Milano è da sempre un evento capace di attirare ospiti di stampo internazionale. All’edizione 2001, tra i numerosi personaggi di spicco, compaiono anche i Blue, boyband inglese che in quell’anno ha fatto il suo debutto conquistando buoni piazzamenti nelle classifiche. Vestono abiti Versace, forniti dalla stessa azienda di alta moda italiana. Già, perché è stata Donatella Versace in persona a portare i Blue all’evento, con tanto di jet privato inviato a Londra. Ma quando il gruppo finalmente incontra Versace, qualcosa va storto. L’incontro dura il tempo di uno sguardo imbarazzato da parte della stilista. Come racconta Antony Costa, uno dei membri del gruppo:

Ci siamo messi in fila, come se dovessimo incontrare la Regina, e lei ci ha guardati. Dissi a [Simon] Webbe: “È un po’ strano, in teoria siamo qui come ospiti. Perché non dovrebbe volerci salutare?”

La verità i Blue la scoprono solo al ritorno a Londra e la tengono per sé fino al 2021, quando Costa rivela che Versace voleva invitare un’altra band inglese in voga in quel momento, i Blur, ma per un errore di pronuncia il suo staff ha capito “Blue”. La distanza che separa /bluː/ da di /blɜːr/ non è nulla rispetto a quella tra lo stile dei due gruppi: i Blue si inserivano nel solco della musica commerciale a uso e consumo delle classifiche, mentre in quello stesso periodo i Blur stavano entrando nella loro maturità artistica, lasciandosi alle spalle gli anni del britpop. Anche nell’aspetto non potevano essere più diversi: i Blue sfoggiavano un look da copertina tipico delle boyband, mentre all’epoca dei fatti i Blur avevano uno stile alternative rock piuttosto distante da quello degli esordi.

[Wikipedia]

Intervistata da Fedez e Luis Sal nel podcast Muschio Selvaggio, Versace ha confermato la versione e aggiunto:

Quando li ho visti davanti volevo morire. Non avevo il coraggio di dirlo agli altri.

Chi al suo posto non avrebbe provato la stessa voglia di sotterrarsi? Ma a distanza di vent’anni, l’episodio può essere derubricato a un piccolo incidente, tipo quegli inciampi che possono capitare a chi sfila in passerella. In fondo l’errore non ha comportato conseguenze per lei o il suo brand. Per dire, mica ha rischiato di spendere 80 milioni di euro.

Da errore madornale a occasione sprecata

Il Manchester City è una delle diverse squadre della Premier League inglese gestite da multimiliardari stranieri. Dal 2008 è di proprietà della Abu Dhabi United Group, una società emiratina che fin da subito ha dimostrato di non voler badare a spese: si stima che alla stagione 2020/2021 abbia investito in soli giocatori quasi due miliardi di euro. Tra tanti affari conclusi, ne spicca uno sfumato: quello dell’attaccante argentino Lionel Messi. Che stava sì per essere acquistato dal City, ma per sbaglio. E come per lo scambio Blue-Blur, c’entra un malinteso linguistico.

Lionel Messi ai tempi del Barcellona [Wikipedia]

Il retroscena risale proprio al 2008, ma è stato svelato solo nel 2019. I protagonisti sono Gary Cook, CEO della squadra, Paul Aldridge, direttore operativo, e Pairoj Piempongsant, imprenditore tailandese numero due di una società in bilico (il passaggio di proprietà all’Abu Dhabi United Group è solo questione di tempo). Forse anche per questo gli animi della riunione di mercato incriminata sono piuttosto accesi. Piempongsant è in chiamata con Aldridge e Cook, che tengono il telefono poggiato sul tavolo. Aldridge dice: “Pairoj, devi dirmi cosa stiamo facendo, stiamo perdendo il controllo della situazione”. Pairoj, disteso su una chaise longue mentre gli praticano un massaggio, urla:

Yes, yes, yes! Very messy, messy, it’s getting messy!

La frase si può tradurre più o meno con “Sì, sta diventando un gran casino”. Peccato che, forse per la distorsione dell’altoparlante, forse per un errore di pronuncia,it’s getting messy” arriva alle orecchie di Cook e Aldridge come “we’ve got to get Messi“, “dobbiamo prendere Messi”. I due rimangono un po’ confusi, ma alla fine procedono come pensano di dover procedere. Il giorno dopo Cook riceve una telefonata da un incredulo dirigente della Premier League: “Garry, hai fatto un’offerta per Lionel Messi? Settanta milioni di sterline? Sei pazzo?”. La cosa buffa è che, secondo lo stesso dirigente, il Barcellona avrebbe preso in considerazione l’offerta, se solo fosse stata vera. Il City ripiegherà sull’attaccante brasiliano Robinho, ed è qui che la storia assume i contorni della beffa: durante la sola stagione 2008/2009, Messi segnerà 38 gol in 51 partite, mentre Robinho ne farà appena 14 in tutte le sue 41 apparizioni con i Citizens. Un successone.

Pronunce da incubo

Si dice che l’inglese sia una lingua facile da imparare ma difficile da padroneggiare, e l’episodio che ha visto come protagonista Versace ne è una buona dimostrazione. Oltre alla ricchezza del vocabolario, due degli aspetti che la rendono ostica sono la pronuncia e lo spelling. Questo perché l’inglese è una lingua non fonetica, ovvero non c’è sempre un’esatta corrispondenza tra scritto e parlato. Giusto per fare un esempio, la sola sequenza di lettere ough può avere almeno otto suoni distinti senza alcuno schema ricorrente. Anche altre sequenze meno infami possono avere una grafia e una pronuncia molto simili, e spesso una minima sbavatura può fare una notevole differenza in termini di significato.

Senza entrare nel merito delle differenze tra inglese britannico e americano, citiamo un altro fenomeno linguistico che complica ulteriormente la situazione: l’omofonia. Parole o gruppi di parole omofone hanno la stessa pronuncia ma un significato e spesso una grafia distinti. Buoni esempi sono rain (pioggia), reign (regno) e rein (redini), oppure I scream (io urlo) e ice cream (gelato). Non è una caratteristica esclusiva dell’inglese: in italiano troviamo tanti casi, tra cui “hanno” e “anno”, “la morale” e “l’amorale” o “Laura” e “l’aura”, solo per citarne alcuni. Ma piccole differenze come queste possono dare luogo a grandi equivoci in numerose altre lingue.

Katso merta quant’è bello

Arriviamo così all’acquisto sfiorato di Messi da parte del Manchester City. Come per la disavventura di Versace, gran parte del malinteso è dettata dal caso: quante possibilità c’erano che in quel dato momento storico esistesse un calciatore con quel cognome e che per giunta fosse un prodigio di livello mondiale? Al resto ci ha pensato l’assonanza tra le parole messy e Messi, che in base a chi le pronuncia* possono diventare indistinguibili. Non è raro che lingue diverse abbiano parole ed espressioni simili per grafia o suono: dopotutto, “messi” è una parola di senso compiuto anche in italiano, sfruttata spesso dai giornali per creare giochi di parole un po’ cringe tipo “Messi male”. Magari tra qualche anno scopriremo che una squadra di Serie A stava per comprare Breel-Donald Embolo a causa di una conversazione telefonica interpretata male. Qualcosa tipo “Che mi venga un embolo” confuso con “Che mi prenda Embolo”. Al contrario dei cartellini dei giocatori, fantasticare non costa nulla.

Per chiudere in eleganza, come non citare quei casi in cui l’assonanza tra lingue può essere confusa con una parolaccia? Il mondo del calcio ci ha regalato titoli favolosi come “Si stringe per Kakà” o “Torino, preso N’Koulou“, senza dimenticare la leggendaria conferenza stampa in cui Giovanni Trapattoni si scaglia contro il tedesco Strunz. Ma sono tante le parole comuni che possono generare questo tipo di malintesi. Dick, ad esempio, può significare “cazzo” o “stronzo” in inglese e “grasso” o “spesso” in tedesco. I casi che riguardano l’italiano sono tanti e altrettanto spassosi. Katso merta in finlandese non è un’esclamazione di rabbia: vuol dire “guarda il mare”. In svedese, fika non indica quella parte anatomica femminile ma, con una certa approssimazione, la pausa caffè. E vogliamo parlare dell’hashtag #immerda, utilizzato dalla polizia della Renania-Palatinato per comunicare alla cittadinanza che sono “sempre presenti”? Se vuoi continuare su questa linea, trovi un elenco di “falsi amici” simili in questo articolo del blog Parolacce.

* Postilla

Il cognome “Messi” viene pronunciato per lo più con la doppia esse anche da persone ispanofone, ma a giudicare da come lo pronuncia Messi stesso, la esse dovrebbe essere singola. Per “Embolo” mi sono affidato a una pubblicità svizzera ispirata a un coro da stadio: in entrambi i casi la pronuncia è simile alla parola italiana “embolo”, ma da qui a dire che sia quella corretta ce ne passa, tanto più che è un cognome camerunese. Molto dipende dalla fonetica tipica della propria lingua madre e dalla propria consapevolezza in fatto di pronuncia e accenti. Tipo, da torinese ho sempre trovato normale dire Bèngasi al posto di Bengàsì, almeno fino al giorno in cui ho scoperto che la mia vita era una menzogna. La cosa divertente è che persino l’ente trasporti di Torino si è arreso a questo errore popolare: la voce registrata che annuncia la fermata della metro di Piazza Bengasi usa l’accento sbagliato per non confondere chi viaggia. Sulla legittimità della scelta lascio a te la parola; io non posso pronunciarmi. Pun intended.


Articolo pubblicato originariamente sul blog TDM Magazine il 5 agosto 2021.

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