Da bomber a pistolero: lo strano caso di Piątek
Pistolero per caso
L’attaccante polacco Krzysztof Piątek è stato una delle rivelazioni del campionato di Serie A 2018-2019. Acquistato dal Genoa a giugno, al suo debutto in Coppa Italia segna 4 volte in 38 minuti: è il primo rossoblu a realizzare un poker in questa competizione e potrebbe fare anche di meglio, se solo non venisse sostituito al 59esimo. Durante la sessione di mercato invernale passa al Milan, dove continua a mantenere un’ottima media realizzativa: a fine anno, tra campionato e coppa, segnerà 30 gol in 42 presenze. Numeri da centravanti di razza. Ma oltre che per il suo spiccato fiuto per il gol, Piatek è diventato subito noto per il modo in cui festeggia ogni marcatura: mima con entrambe le mani un pistolero che spara.
Come ha raccontato lui stesso, questa esultanza nasce da un equivoco linguistico:
Quando arrivai a Genova, tutti mi chiamavano bomber. In polacco bomber significa uno che spara: così ho pensato di iniziare ad esultare così.
Quando ho sentito questa storia, mi è subito venuto un dubbio: non è che i compagni di Piątek hanno iniziato a chiamarlo così prima che si dimostrasse un attaccante prolifico? Dopotutto lui stesso dice “Quando arrivai a Genova” e non, per esempio, “Dopo aver segnato la prima tripletta in allenamento”. Questo perché, come forse avrai notato frequentando i social network, il senso della parola “bomber” si è trasformato.
Bomber: significato e risemantizzazione
Da dizionario, bomber significa “bombardiere” o “bombarolo” e in italiano funge da prestito e pseudoprestito: prestito se riferito al cannoniere, pseudoprestito se riferito alla bomber jacket, la classica giacca da aviatore con la fodera interna arancione.
Da circa una decina d’anni il termine ha però acquisito un nuovo significato, grazie soprattutto alla spinta dei social network. “Essere un bomber” non significa più soltanto essere un attaccante che segna molti gol: è una sorta di filosofia di vita basata su valori come la scarsa istruzione, il machismo, la malattia per il calcio, la nostalgia degli anni Novanta-Duemila e la fissa per le ragazze (per dirla senza riferimenti ai genitali femminili).
Questa retorica è diventata un fenomeno di massa definito “bomberismo”. Il termine è stato inserito nel 2017 tra i neologismi del vocabolario Treccani, che tra le definizioni riporta un estratto da un articolo di Vincenzo Marino su Vice:
La definizione di “bomberismo” in realtà non esiste (se non, in qualche modo, su Nonciclopedia) ma serve a dare un’etichetta e a fissare un certo fenomeno online che in queste ultimi mesi continua a crescere enormemente, principalmente su pagine e gruppi Facebook. Ossia: l’esaltazione di comportamenti sostanzialmente sessisti, xenofobi, ammantati da livelli incerti di ironia e animati dall’esaltazione della vita “ignorante”, della “provincia”, del “bomber vero” e del concetto travisato di “degrado.” […] Il livello qui è pre-politico, spiccatamente della rete, e pressoché giovanile: è un respiro online animato da uno spirito comune ma declinato su più sfumature […]
Finiscono in questo calderone tanto i meme basati sui film di Aldo, Giovanni e Giacomo quanto quelli con battute sessiste o che celebrano il consumo di droga e alcol. In sintesi, il bomberismo è un fenomeno che oscilla tra l’innocua ironia da bar e la normalizzazione di una condotta di vita censurabile. Ma cosa c’entra Piątek in questa storia?
Dallo spogliatoio ai social network
“Bomber” è una parola mutuata dal mondo del calcio, e per forza di cose il bomberismo ha molto a che vedere con questo sport. Sempre dall’articolo di Marino:
Per capire meglio su cosa si può concordare quando si cerca di definire bomberismo, forse è necessario partire da uno dei suoi primi motori: la propagazione inarrestabile delle pagine a trazione calcistica tendenti alla glorificazione dei concetti di ignoranza e nostalgia (Chiamarsi bomber, Calciatori Brutti, Serie A – Operazione Nostalgia, Delinquenti prestati al mondo del pallone, Che fatica la Vita da Bomber), che negli ultimi anni sono cresciute esponenzialmente fino a esondare anche nei media mainstream—che si tratti di giornali online o di televisione—istituzionalizzando le loro retoriche.
L’ambiente di spogliatoio è l’humus ideale per questa cultura dai vizi tipicamente maschili. Dai campetti di periferia a quelli di Serie A, “bomber” diventa un modo per definire una figura stereotipata di uomo macho e terra-terra, anche per l’assonanza con “bombare”, verbo gergale che indica il rapporto sessuale. Una volta uscita dallo spogliatoio, questa parola ha trovato nei social network un megafono e in poco tempo è confluita nel linguaggio e nella musica popolare.
Mon frère, il mio conto è così gonfio, è un Moncler / Per la figa, per il calcio e il Dom Pér / Non per niente qui mi chiamano il bomber (bella bomber!)
Salmo – Ricchi e morti (2018)
In questo pezzo, Salmo disegna un’immagine parodiata di “un trend di temi e linguaggio quasi egemone nel rap attuale”. E nella cultura giovanile in generale. Va detto che usare “bomber” non significa per forza abbracciare a pieno gli ideali del bomberismo: a furia di ripeterla, questa parola è diventata un semplice intercalare, al pari di zio, fra’, tipo o compà. E qui arriviamo a Piątek e all’origine del suo soprannome.
Mi immagino l’attaccante polacco entrare per la prima volta nello spogliatoio del Genoa ed essere accolto da un: “Bella bomber, benarrivato”. Da lì sarà stato un continuo. “Oh bomber, tutto a posto?”. “Oh bomber, te la fai una storia su Instagram?”. E lui, appena arrivato dalla Polonia e con una conoscenza risicata dell’italiano, che si domanda perplesso: “Perché mi danno tutti del pistolero?”. Da lì avrà pensato che tanto valeva farne un’esultanza. Ma per guadagnarsi il titolo di “bomber vero” – sempre ammesso voglia farlo – non basteranno i gol: dovrà seguire le orme di un celebre calciatore del passato.
Il re di tutti i bomber
Parla be’ non sei un bomber ve’ / I miei bro, Bobo Vie’, o mado’
Joe Sfrè in Bomber ve di Quentin40 (2017)
L’ex attaccante della nazionale Christian “Bobo” Vieri è il vero simbolo del bomberismo, a pari merito con Marco Boriello. A colpi di flirt con veline e modelle, dirette da Formentera e sfide reciproche su Instagram, i due hanno contributo ad affermare e diffondere il credo di questa cultura. Vieri ha addirittura scritto (?) un libro in cui “spiega che un bomber […] fa sempre il suo dovere, contro gli avversari così come con le donne”. E nel maggio 2019, l’ex calciatore ha prestato il suo volto alla campagna di Gillette Shave Like a Bomber.
Due riflessioni su questa pubblicità, una linguistica e una culturale.
La prima è che, per fortuna, è rivolta solo al mercato italiano. In inglese, bomber non ha la stessa accezione mascolina e goliardica. Per dirne una, tra la fine degli anni Settanta e la metà dei Duemila, l’appellativo “Unabomber” è stato usato per indicare prima un bombarolo americano e in seguito uno italiano. Oggi viene usato anche in modo discriminatorio verso le persone di fede musulmana: il calciatore egiziano del Liverpool Mohamed Salah ne sa qualcosa.
Lo slogan della campagna è un caso di inglese farlocco, espressione coniata dalla terminologa Licia Corbolante per indicare testi “destinati a un pubblico italiano, ma scritti esclusivamente in inglese poco idiomatico o addirittura errato, però facilmente comprensibile anche da chi ha solo conoscenze scolastiche, tanto che qualsiasi spiegazione italiana viene ritenuta superflua”. Un madrelingua inglese potrebbe interpretarlo “Raditi come un bombardiere” o, peggio ancora, “Raditi come un attentatore“. Che sarebbe anche una scelta di marketing interessante, ma un po’ fuori target.
La seconda è che mostra una controtendenza rispetto ad altre campagna di responsabilità sociale lanciate da Gilette nello stesso anno, come The Best Men Can Be e First Shave.
Con The Best Men Can Be, Gillette cerca di promuovere un nuovo tipo di mascolinità positiva e archivia con coraggio (e molte critiche) la storica tagline The Best a Man Can Get (“Il meglio di un uomo”). In First Shave assistiamo invece alla prima rasatura di Samson Bonkeabantu Brown, un ragazzo transgender canadese. Due iniziative che attingono da un immaginario inedito per il marchio di Procter & Gamble e che alimentano il dibattito sulla natura della pubblicità: è uno specchio della società o uno strumento capace di cambiarla?
Al contrario, la campagna Shave Like a Bomber cavalca gli stereotipi di genere. Gilette mette in scena il cliché dell’uomo che cerca sempre una via più rapida (e spesso raffazzonata) di fare le cose. Inoltre sceglie come testimonial non un “bomber” qualsiasi, ma quello per eccellenza: un viveur poco istruito che durante e dopo la sua carriera di sportivo professionista ha collezionato donne come figurine. Una figura in cui qualche maschio potrebbe fare fatica a riconoscerci. Ma a giudicare dai commenti al video su YouTube, l’azienda ha fatto centro. O se vogliamo restare in tema, l’ha messa sotto il sette.
Articolo pubblicato originariamente sul blog TDM Magazine il 24 agosto 2019.