Guida pratica al linguaggio inclusivo in italiano

Strategie e consigli per scrivere testi rispettosi delle differenze di genere

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Mi chiamo Ruben Vitiello e sono localizzatore dal 2011. Ho mosso i miei primi passi nel settore traducendo contenuti software e medicali, ma col tempo ho allargato le mie competenze a scrittura efficace, transcreation, copywriting e UX writing. Oggi mi occupo per lo più di interfacce utente, contenuti di assistenza e testi marketing. Se vuoi sapere qualcosa di più su di me, puoi leggere il mio percorso professionale: è piuttosto insolito.

Ho iniziato a interessarmi al lato pratico del linguaggio inclusivo attorno al 2018, e nel 2020 ho pubblicato la prima versione di questa guida sul blog TDM Magazine. La guida ha avuto subito un successo inaspettato; col tempo ho scoperto che ha aiutato e ispirato molte persone che come me scrivono per lavoro. Quella che stai per leggere è la revisione del 2022, che si discosta di poco dalla versione originale. Ciò non significa che nel frattempo sia rimasto con le mani in mano, anzi: ho continuato ad approfondire le mie conoscenze, tenermi aggiornato sull’argomento e raccogliere casi d’uso pratici, costruendo un percorso di formazione che va oltre le istanze del genere. Te ne parlerò meglio tra poco.

Cosa contiene questa guida

Chiariamo subito una cosa: questa guida non ha la pretesa di essere una risorsa esaustiva e definitiva sulle questioni legate al linguaggio di genere. Includere qualsiasi combinazione, considerazione e caso d’uso è impossibile, senza considerare che quello sul rispetto delle differenze è un dibattito vasto e in continua evoluzione. Insomma, considerala più come un punto di partenza che come un punto d’arrivo. Dopotutto, lo è stata anche per me. Detto ciò, vediamo cosa contiene. In estrema sintesi, in questa guida troverai:

  • Strategie pratiche su come evitare il maschile sovraesteso, sempre che sia possibile farlo
  • Consigli generali su come parlare in modo rispettoso delle comunità LGBTQIA+
  • Una panoramica sulle soluzioni non standard per il genere neutro, tipo l’asterisco e lo schwa
  • Tanti collegamenti a risorse esterne e casi d’uso

Al contrario, non troverai discorsi subdoli per promuovere la scomparsa dei generi, prese di posizione contro l’uso del maschile o la libertà di sentirsi uomo/donna, e nemmeno tentativi di rendere comuni forzature come “autisto” o “dentisto”. Forse era superfluo specificarlo, ma non si sa mai.

Una premessa e una richiesta

Questa guida si concentra su sesso, genere e orientamento, ma comunicare in modo inclusivo significa tenere conto di tutte le forme di diversità, come etnia, disabilità, età, credo religioso, condizione economica e altro ancora. Non entreremo nel dettaglio di questi aspetti, in compenso verso la fine della guida troverai una serie di collegamenti utili per approfondire il discorso, se vorrai.

Infine, una richiesta: puoi utilizzare questa guida come meglio credi, ti chiedo giusto la cortesia di citare la fonte. Se la troverai utile potresti condividerla sui tuoi social network o inviarla alle persone con cui lavori. E se la troverai bella bella in modo assurdo, potresti persino considerare di seguire il corso che organizzo per STL Formazione e scoprire quanto è profonda la tana del Bianconiglio. Seleziona l’immagine per leggere il programma e, se ti iscrivi, non dimenticare di dirmi com’è andata.


La guida è piuttosto lunga: preferisci leggertela con calma e tenerla sempre a portata di mano?





Perché dovremmo usare un linguaggio più inclusivo?

Se ti occupi di traduzione o scrittura di contenuti, è possibile che ti chiedano sempre più spesso di usare un linguaggio rispettoso delle differenze di genere. Saprai quindi che la scrittura inclusiva non è solo ideologia, ma anche una questione molto, molto pratica, visto che può riguardare contenuti come articoli di assistenza clienti, newsletter, siti web, post per i social media, campagne di marketing, videogiochi, software e applicazioni, assistenti personali digitali, chatbot di assistenza, sottotitoli di serie televisive e persino libri di saggistica e narrativa.

Al di là degli aspetti lavorativi, potresti aver scelto di adottare una comunicazione rispettosa anche per iniziativa personale. Saprai quindi che il tema dell’inclusività è sempre più presente nelle nostre vite. Molti brand hanno cambiato la propria immagine e i propri prodotti per raggiungere un target vario e multiculturale. La Berlinale ha sostituito i premi per il miglior attore e la miglior attrice con il premio per la migliore interpretazione. A partire dal 2024 le pellicole candidate agli Oscar come miglior film dovranno rispettare determinati requisiti in fatto di inclusione e diversità. E che dire poi della Chiesa cattolica, che ha modificato il messale in modo da affiancare “sorelle” a “fratelli”? Certo, a volte queste iniziative sono una questione di convenienza, ma tante altre volte sono sintomo di un cambiamento sociale più ampio.

Con ogni probabilità, saprai anche che tante, tantissime sono le obiezioni che si avanzano nei confronti dell’uso di un linguaggio più inclusivo, specie quando si parla di tematiche di genere. Qualche esempio? “Quante storie, sono solo parole!” Oppure: “Sì OK, ma i problemi sono ben altri!” E ancora: “Ma basta con tutto questo politicamente corretto!” Di rispondere a queste e altre contestazioni se n’è occupata Vera Gheno su Valigia Blu; difficile fare di meglio. Mi permetto giusto di aggiungere due note legate a una tecnologia onnipresente nelle nostre vite: l’intelligenza artificiale.

La prima è di carattere generale. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale ci offrono vari esempi di come le parole possono avere effetti discriminatori concreti. Nell’aprile 2020 una traduttrice ha segnalato su Twitter che usare traducteur come parola chiave su Linkedin escludeva dai risultati i profili in cui compare traductrice. Il problema sembra esser stato risolto, ma quante donne hanno perso un’opportunità di lavoro nel frattempo? Caso simile quello dell’algoritmo sperimentale di Amazon per la selezione del personale, che penalizzava i curriculum contenenti la parola “femminile” e di conseguenza scartava a priori le donne. La strada per un’intelligenza artificiale più equa e utile a tutte le persone passa anche dal linguaggio.

La seconda è di carattere pratico. Se ti occupi di traduzione, potrebbe interessarti sapere che Google continua ad applicare modifiche all’algoritmo di Google Traduttore per cercare di ridurne il bias di genere (per saperne di più, puoi seguire il Google AI Blog). Se davvero non vogliamo farci superare dall’intelligenza artificiale, forse vale la pena fare uno sforzettino e preoccuparci anche noi esseri umani dell’argomento, non trovi?

Google Traduttore offre traduzioni di singole parole declinate sia al maschile che al femminile [screenshot fatta da me]

Ma ora basta ciance: iniziamo finalmente a vedere strategie ed esempi pratici per scrivere in modo inclusivo in italiano.

Aggirare il maschile sovraesteso

Largo alla creatività

Per convenzione grammaticale, il maschile può agire anche come “neutro” per riferirsi a gruppi non omogenei o in comunicazioni dirette a un’audience generale. Ciò nasconde le persone di genere femminile o non binario, un problema sia di precisione che di discriminazione.

E se a leggere il messaggio fosse una donna? [Terminologia etc]

Per fortuna, la nostra lingua ci offre un sacco di soluzioni per evitare il maschile sovraesteso, come:

  • Cambiare il soggetto in modo da non usare un participio passato
  • Usare perifrasi
  • Cercare sinonimi di verbi, sostantivi e aggettivi
  • Cambiare punto di vista della frase
  • Omettere sostantivi, pronomi e aggettivi per lasciare che sia il verbo a definire il soggetto
Ecco, così molto meglio [Terminologia etc]

In questa tabella vedi alcuni esempi in cui, come nell’immagine qui sopra, ho usato una o più di queste soluzioni.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
Se non sei sicuro, inviaci un’emailSe hai dubbi, inviaci un’email
Sei un rappresentante della tua azienda?Rappresenti la tua azienda?
Grazie per esserti registrato alla nostra newsletter– Grazie per aver completato la registrazione alla newsletter
– Grazie! Presto inizierai a ricevere la nostra newsletter
Da 1 a 10, quanto sei soddisfatto del nostro servizio?– Da 1 a 10, quanto ti soddisfa il nostro servizio?
– Da 1 a 10, che voto daresti al nostro servizio?
– Da 1 a 10, come valuteresti il nostro servizio?
– Scopri se sei idoneo alla promozione
– Complimenti! Ora sei idoneo alla promozione
– Scopri se puoi partecipare alla promozione
– Complimenti! Hai ottenuto l’idoneità alla promozione
Sei un traduttore o un copywriter?– Lavori nel settore della traduzione o del copywriting?
– Scrivi o traduci per lavoro?
Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato– Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere tutti gli aggiornamenti
– Iscriviti alla nostra newsletter per scoprire in anteprima tutte le novità
Gli uomini e le donne più famosi del momentoGli uomini e le donne più celebri del momento

Per evitare il maschile sovraesteso puoi anche usare forme passive o impersonali, ma attenzione a non abusarne: oltre ad appesantire il testo, possono dare adito a confusione e ambiguità.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
I candidati devono inviare il proprio portfolio entro…Il portfolio deve essere inviato entro…
I dottori hanno operato la paziente per diverse oreLa paziente è stata operata per diverse ore

In entrambe le costruzioni passive non è palese chi deve compiere o ha compiuto l’azione. Ma se il soggetto può essere dedotto dal contesto senza rischio di fraintendimenti, usarle non è un problema.

Alternative a “benvenuto”

La schermata iniziale dell’app Posta di Windows [screenshot fatta da me]

Le formule di saluto sono molto comuni in software, app, newsletter e altri tipi di contenuti. In situazioni simili, usare “benvenuto” significa presumere che dall’altra parte dello schermo o del foglio ci sia un uomo. Anche in questo caso, possiamo usare una perifrasi.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
Benvenuto/BentornatoTi diamo il benvenuto/bentornato
Benvenuti/BentornatiVi diamo il benvenuto/bentornato

Se hai problemi di spazio, potrebbe andare benissimo un semplice “ciao”. Se ti serve un pelo di formalità in più, potresti usare “gentile”, “buongiorno/buonasera” o “un saluto da [nome azienda]”. In qualsiasi caso, è sconsigliato l’uso di “salve”. Come sostiene Luisa Carrada in Scrivere un’email, questo saluto “esprime genericità, incertezza e imbarazzo”. Posizione che mi ha confermato anche Annamaria Anelli:

È un saluto che non ci mette la faccia. Lo si usa quando non si vuole prendere posizione (ed è un brutto segno).

App e software: il regno della perifrasi

Quando ci registriamo a un portale o a un’app, di norma dobbiamo fornire informazioni quali nome e cognome, nickname, indirizzo email e così via. Il nostro nome può poi essere usato come segnaposto in messaggi, email e notifiche che possono contenere parti del discorso declinabili tanto al maschile quanto al femminile. Il segnaposto è dinamico, mentre il resto della frase non cambia in base al genere del nome.

“Si è unito a Telegram!” è la porzione statica della stringa [screenshot fatta da me]

Anche quando ci viene richiesto di indicare il nostro genere, non è detto che il prodotto lo userà per declinare ogni frase in base al genere specificato. Questo perché avere stringhe specifiche per maschile, femminile e neutro richiede una certa disponibilità di risorse. Creare due o tre versioni di ciascun messaggio significa maggior spazio di archiviazione, maggiore capacità di elaborazione e più lavoro in fase di traduzione, revisione e aggiornamento. Una serie di rogne che persino le aziende tecnologiche più grandi preferiscono risparmiarsi o anche solo ridurre al minimo. Facebook offre tre opzioni per il genere al momento della registrazione, tuttavia l’informazione non viene utilizzata ovunque. Nei badge, ad esempio, il maschile sovraesteso viene usato spesso anche quando il soggetto è una donna.

[screenshot fatta da me]

In alcune schermata di ricerca degli amici, invece, Friend viene tradotto con “Amico/a”.

[screenshot fatta da me]

La barra obliqua non è il massimo dal punto di vista di leggibilità e accessibilità, ma permette di evitare problemi di accordo nel momento in cui la stringa non varia in base al genere. Avremmo potuto usare “Connessione stabilita”, ma oltre a essere un po’ più fredda, questa soluzione è anche sensibilmente più lunga. Ciò ci porta a un altro limite con cui ci dobbiamo confrontare di frequente: spesso le soluzioni inclusive sono più verbose di quelle non inclusive, e non sempre abbiamo spazio a sufficienza per usarle. Ciò vale tanto per le app e i software quanto per i sottotitoli, i titoli di giornale o la scrittura SEO, giusto per fare qualche esempio.

Dicevamo, i segnaposto. Se non hai particolari limiti di caratteri, per gestirli puoi ricorrere agli stessi strumenti che abbiamo visto nel paragrafo precedente.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
[nome] si è unito a Telegram![nome] ora è su Telegram!
[nome] è un tuo amico[nome] è uno dei tuoi contatti
[nome] è stato rimosso dal gruppo di lavoroHai rimosso [nome] dal gruppo di lavoro
[nome] aggiunto alla chatOra [nome] fa parte della chat

Ancora una volta, dovrai valutare caso per caso quale sia la soluzione migliore. Ad esempio, “hai rimosso” va bene solo se a farlo è stato effettivamente l’utente che legge, altrimenti sarebbe un errore.

Usare sostantivi collettivi, neutri o astratti

Sostantivi generici e pronomi indefiniti

Se per definire un gruppo di 2 dottori e 3 dottoresse usiamo “dottori”, non commettiamo un errore di grammatica. Tuttavia, il maschile sovraesteso appiattisce la diversità e veicola un’informazione parziale. Per evitarlo, quando ci riferiamo a gruppi di persone non omogenei possiamo usare sostantivi generici che definiscono categorie, cariche, posizioni o ruoli. Ecco qualche esempio (i termini con l’asterisco sono intesi al maschile).

INVECE DIPOSSIAMO USARE
dottoripersonale medico, équipe medica
infermieripersonale infermieristico
tecnicipersonale tecnico, team tecnico
segretarisegreteria
professori, docenti*, insegnanti*corpo docente, personale docente, corpo insegnante
studenticlasse
dipendenti*, lavoratori, operatoripersonale
assistenti* di bordopersonale di bordo
dirigenti, presidentidirigenza, presidenza
attoricast
scienziaticomunità scientifica

Ricorda però che a volte i sostantivi collettivi possono essere troppo generici o addirittura ambigui. “Presidenza” può indicare tanto “il presidente” quanto un ufficio composto dal presidente e i suoi collaboratori. Allo stesso modo, è sconsigliabile usare “reparto ospedaliero” per riferirsi solo al personale medico: questa definizione include anche figure di altro tipo. Se non vuoi perdere in precisione, potresti dover utilizzare un’altra strategia, come ad esempio lo sdoppiamento, oppure “arrenderti” al maschile sovraesteso.

Oltre ai sostantivi collettivi, ci possono venire in aiuto anche i pronomi indefiniti.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
I candidati al concorso devono…Chi si candida al concorso deve…
Coinvolgere il lettoreCoinvolgere chi legge
Gli aventi diritto alla promozione possono…– Chiunque abbia diritto alla promozione può…
– Coloro che hanno diritto alla promozione possono…

Uomo, persona, individuo, popolo, membro

Secondo le indicazioni del Parlamento europeo e del Segretariato generale del Consiglio europeo, “uomo” e “uomini” possono essere considerati neutri se usati in espressioni idiomatiche come “a passo d’uomo”, “a misura d’uomo”, “il lavoro nobilita l’uomo”, l’uomo è un animale sociale” e “l’uomo di Neanderthal”.

Lo stesso vale se usati nell’accezione di “essere vivente”, “essere umano”, “genere umano”, “umanità”, “persona”, “individuo” e “soggetto”: tutte ottime soluzioni per evitare riferimenti di genere. L’espressione “diritti dell’uomo” fa caso a sé:

Nel caso di espressioni quali “Corte europea dei diritti dell’uomo” e “Convenzione europea dei diritti dell’uomo” si tratta, nello specifico, di denominazioni ufficiali. Qualora non si tratti di citare la giurisprudenza delle due corti, tuttavia, la locuzione “diritti dell’uomo” può essere sostituita da “diritti umani”.

LA NEUTRALITÀ DI GENERE NEL LINGUAGGIO USATO AL PARLAMENTO EUROPEO

Al contrario, “uomo” e “uomini” non sono considerati neutri se descrivono una categoria di individui oppure professioni e figure stereotipate. Qualche esempio:

  • Uomini d’affari
  • Uomo della strada
  • Uomini politici

In casi simili, bisogna utilizzare un termine collettivo neutro (se esiste) oppure espandere la categoria includendo per lo meno il genere femminile (esempio: uomini e donne d’affari⁠/⁠imprenditrici e imprenditori).

Mi sa che ha preso “uomo” troppo alla lettera [Commenti Memorabili]

Coniuge, partner, coppia

E se ci dobbiamo riferire a una coppia o tradurre parole ambivalenti come spouse o partner? “Coniuge” è una soluzione neutra per evitare “marito” o “moglie”, ma appunto funziona solo in caso di matrimonio. Al contrario, “partner” ci permette di riferirci tanto a coppie sposate quanto a coppie di fatto o dello stesso sesso, unioni civili e così via, ma purtroppo può essere accordata tanto al maschile quanto al femminile. Può aiutarci comunque nei moduli o nelle risposte chiuse ai sondaggi, in cui magari possiamo evitare gli articoli e le preposizioni. In altri casi, può venirci in aiuto la stessa parola “coppia”.

INGLESEPOSSIBILE TRADUZIONE
Your spouse name:Nome del coniuge
Who are you traveling with?
– Alone
– Partner
– Friends
Con chi viaggerai?
– Nessuno
– Partner
– Amici
What about spending a romantic evening with your loved one?Che ne pensi di una romantica serata di coppia?

La soluzione migliore dipenderà sempre dal grado di precisione che devi fornire o hai a disposizione. Se è necessario far riferimento al matrimonio, “partner” o “coppia” potrebbero essere troppo generici; se devi scrivere o tradurre il testo di un’offerta promozionale destinata a qualsiasi tipo di coppia, “coniuge” potrebbe essere troppo specifico. Come al solito, il contesto è tutto.

Cliente, utente e altri sostantivi di genere comune

Se ti occupi di scrittura o traduzione tecnica, userai spesso “cliente” e “utente”, due parole di genere comune, ovvero che si possono declinare sia al maschile che al femminile. Come per “uomo”, il maschile non è considerato marcato se ci riferiamo alla categoria in generale. Se però vogliamo fare un passo in più, possiamo aggirare articoli e preposizioni con le soluzioni che abbiamo visto fino ad ora.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
Oltre 10.000 clienti serviti nel 2019Nel 2019 abbiamo servito oltre 10.000 clienti
L’app è stata scaricata da moltissimi utenti in poche oreL’app è stata scaricata da un gran numero di utenti in poche ore

Sono di genere comune anche molti altri sostantivi derivati da participi presenti, come “rappresentante”, “referente” o “presidente”. Anche in questo caso a determinarne il genere sono le altre parti del discorso, tipo articoli, preposizioni e aggettivi. Può sembrare un’indicazione banale, eppure la vocale finale può trarre in inganno. Vedere per credere.

[screenshot trovata sul Web]

Declinare i sostantivi sia al maschile che al femminile

Un modo per rendere visibile il femminile è l’uso simmetrico del genere tramite lo sdoppiamento del sostantivo.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
Gli infermieri hanno scioperato per otto oreInfermieri e infermiere hanno scioperato per otto ore
Cari soci, grazie per essere quiCari soci e care socie, grazie per essere qui
Gentile dottore, la contatto per conto dell’assistenza clientiGentile dottore/dottoressa, la contatto per conto dell’assistenza clienti

Questa soluzione ha pregi e difetti. Nel caso in cui un sostantivo collettivo sia troppo generico o non esista, ci permette di mantenere la precisione o evitare perifrasi non naturali. D’altro canto, nei testi molto lunghi lo sdoppiamento appesantisce la lettura. In casi simili potresti scegliere di aggiungere una nota iniziale tipo “I termini maschili usati in questo testo si riferiscono a persone di qualsiasi genere e sesso”. E in seconda battuta, non sempre c’è abbastanza spazio per usare sia il maschile che il femminile. Se dobbiamo fare economia di parole, evitare del tutto il maschile sovraesteso può essere molto difficile o addirittura impossibile.

I titoli di giornale mal si prestano allo sdoppiamento dei sostantivi [Positanonews]

Se utilizzi lo sdoppiamento, uno stratagemma per alleggerire un po’ la lettura è anteporre il sostantivo femminile e usare solo il participio maschile: “Solo le studentesse e gli studenti promossi alla prima prova possono accedere all’esame finale”.

Come indicato anche nelle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana di Alma Sabatini, il maschile “promossi” è giustificato dalla contiguità al sostantivo “studenti” e non è marcato dal punto di vista del genere. Ma puoi anche scegliere di accordare tutto al maschile, in base a com’è strutturata la frase.

“Alla propria” è stato omesso probabilmente per questioni di spazio [Il Post]

Usare i femminili professionali

Un discorso più socioculturale che linguistico

La declinazione al femminile di professioni e cariche riesce ancora a suscitare divisioni e polemiche. Un caso ormai storico risale al 2016, quando – a sentire diversi giornali – la Presidente della Camera Laura Boldrini avrebbe preteso di essere chiamata “presidenta” durante una seduta. In realtà chiese di usare l’espressione “signora presidente”, che al contrario di “presidenta” è corretta dal punto di vista grammaticale. Di fatto la notizia fu montata e cavalcata da chi vedeva come una forzatura l’uso di “ministra”, “deputata” e altri femminili professionali promosso da Boldrini durante il suo mandato, ignorando però che il dibattito è tutt’altro che nuovo. Per capirci, le Raccomandazioni di Alma Sabatini risalgono al 1987.


Annunciare il ritorno ai titoli al maschile usando “ministre”. C’è del genio [Libero]

Cinque anni più tardi è il turno della discussione sollevata dall’elezione di Antonella Polimeni a rettrice dell’Università La Sapienza di Roma, prima donna nella storia a ricoprire questa carica. La notizia è stata commentata sui social network con posizioni partitarie: “Meglio rettora!”, “No, rettrice è corretto!”, “Macché, rettore è il ruolo e quindi si dice rettore donna!”. La soluzione era semplicissima: per conoscere la corretta forma femminile di un sostantivo basta consultare un dizionario, come lo Zingarelli. Forme come “sindaca”, “assessora” o “avvocata” non sono neologismi: semplicemente, fino a un certo punto della nostra storia non sono state necessarie perché descrivevano concetti che non esistevano.

La declinazione al femminile è la logica conseguenza della comparsa di donne in posizioni prima riservate agli uomini. E dal punto di vista grammaticale non ci sarebbe molto da discutere: un soggetto femminile si definisce con il femminile. Ma riguardo a quest’ultima considerazione, nemmeno tra le donne c’è accordo. Giusto per riportare due casi di cui si è parlato sui giornali, spesso in modo fazioso e sensazionalistico: Beatrice Venezi vuole essere chiamata “direttore d’orchestra” e Maria Sole Ferrieri Caputi preferisce essere chiamata “arbitro”. Ma esempi di questa preferenza si possono trovare anche in altri strati della popolazione femminile.

[screenshot fatta da me]

Trovare una sintesi tra le diverse posizioni è difficile; di certo non si può imporre né di usare i femminili professionali né di non usarli. Molte motivazioni del no si basano su pilastri un po’ traballanti dal punto di vista linguistico, tipo la cacofonia (“Suonano male”), l’esperienza personale (“Mia cugina si fa chiamare avvocato“) o la presunta necessità di cambiare tutto il vocabolario a cascata (“E allora usiamo anche lampadaria, pediatro o guardio“). Per chi ha dimestichezza con grammatica e linguistica, ridimensionare obiezioni simili richiede pochi secondi, ma ciò non deve diventare un esercizio di superiorità intellettuale. Chi la pensa diversamente da noi non è un nemico da abbattere.

Quello che un linguista può dire, anzi, spiegare, è che è senza dubbio corretto usare i femminili professionali, ma non si può affermare categoricamente che sia sbagliato non usarli: ognuno scelga per sé ma, soprattutto, rispetti la posizione di chi la pensa diversamente. […] Penso che oggigiorno ci sia posto per tutti, e che affermare la correttezza linguistica (e sociale) dei femminili professionali non equivalga certo a dire che usare il maschile sia sbagliato tout court.

VERA GHENO – FEMMINILI SINGOLARI

Quando e come usarli

Speriamo che suonino meglio di come scrivono [immagine trovata sul Web]

Torniamo agli aspetti pratici: quando e come vanno usati i femminili professionali? Secondo varie linee guida autorevoli, se ci riferiamo a professioni o funzioni in astratto e organismi, il maschile sovraesteso può essere considerato non marcato, anche solo per mere questioni di economia:

  • Una misura per aiutare traduttori e interpreti
  • Per maggiori informazioni, contatta l’amministratore
  • I Commissari europei si sono riuniti questa mattina per discutere…

Se lo riteniamo necessario e non abbiamo limiti di spazio, nulla ci vieta di raddoppiare il termine. Poi, se il genere della persona è noto, va usato il genere grammaticale corrispondente. Ciò significa che dobbiamo concordare articoli, preposizioni, participi e così via, ma anche cambiare il suffisso dei sostantivi.

MASCHILEFEMMINILE
il presidentela presidente
il relatorela relatrice
il commissariola commissaria
A dire il vero il femminile di “ingegnere” è “ingegnera” [immagine trovata sul Web]

Ci sono casi in cui le due indicazioni possono andare in cortocircuito. Prendiamo ad esempio la segnalazione di un’utente su Twitter, che chiede conto all’editrice Einaudi di questa scelta di parole in una biografia: “Patrizia Cavalli è uno dei più letti e amati poeti contemporanei”. Al tweet ha risposto la stessa editor di Cavalli:

[…] Avevo scritto “una delle più lette e amate poetesse contemporanee”. Patrizia mi ha posto il problema della lingua che tradisce se stessa. E mi ha chiesto di usare un termine che rispecchiasse quanto voleva dire Einaudi. E nella lingua italiana il termine che comprende tutti, poetesse e poeti, è uno solo: poeti.

Per Einaudi, Cavalli non è la più apprezzata tra le poetesse, ma tra tutti i poeti (uomini e donne). Se la scelta è fondata e supportata da un intento chiaro, il maschile sovraesteso può essere preferito ad altre soluzioni per questioni di chiarezza. Come ogni scelta, può sollevare critiche e non essere la migliore. Tu come avresti scritto la biografia?

[Post originale su Twitter]

Anche in questo tweet dell’Università di Milano-Bicocca vediamo una sorta di cortocircuito: perché hanno usato sia “rettore” che “rettrice”? Non si tratta di una svista: questo trattamento distinto riflette le preferenze delle singole persone coinvolte. Quando è stata nominata, Messa aveva scelto di farsi chiamare “rettore” e ciò giustifica anche l’uso di “ministro”; al contrario, la nuova rettrice preferisce usare il ruolo al femminile.

Come dicevamo, è giusto rispettare la volontà delle persone per quanto riguarda l’uso dei loro titoli al maschile o al femminile. Purtroppo non è sempre possibile conoscere la preferenza di ogni individuo di cui dobbiamo scrivere: tocca informarci, per quanto possibile. Se poi non troviamo nulla in merito, non ci resta che affidarci alla nostra sensibilità, fare una scelta e in caso di errore correggere il tiro.

[Post originale su Facebook]

In ogni caso, l’uso del femminile ha anche un risvolto pratico: se accordiamo in modo corretto articoli e aggettivi, non è necessario specificare “donna”. Se poi vogliamo o dobbiamo farlo per qualche motivo particolare, ad esempio per sostantivi di genere comune come “presidente”, è consigliabile anteporre “donna” alla professione, in modo che qualifichi la persona e non serva per modificare il genere del ruolo, come abbiamo visto per “rettore donna”. Diverso il discorso se la parola fa parte di un elenco di caratteristiche che vogliamo sottolineare (ad esempio, “Kamala Harris è la prima vicepresidente donna e non bianca della storia”).

Usare un trattamento simmetrico per uomini e donne

Partiamo da due episodi avvenuti nel 2020:

  • Il Primo ministro italiano incontra la Cancelliera tedesca per parlare del Next Generation EU e La Stampa titola La forza di Angela e le paure di Conte. Nome di battesimo per lei, cognome per lui.
  • Durante una trasmissione televisiva, Concita De Gregorio riprende Alessandro Sallusti: “Mi scusi, ma perché mi chiama per nome e io la chiamo per cognome?”. Lui allora usa “dottoressa”, ma lei ribatte: “Mi basterebbe anche solo il cognome”.

Questi sono due esempi di trattamento asimmetrico, in cui l’uso del nome proprio in qualche modo sminuisce l’importanza della parte femminile. Per evitare squilibri, quando ci riferiamo a un uomo e una donna in terza persona occorre usare titoli e formule di cortesia in modo simmetrico. Per lo stesso motivo, è sconsigliabile l’uso dell’articolo “la” prima dei cognomi di donne.

INVECE DIPOSSIAMO USARE
il dottor Bianchi e la signora Rossiil dottor bianchi e la dottoressa Rossi
Ursula von der Leyen e BidenUrsula von der Leyen e Joe Biden
la von der Leyen e Bidenvon der Leyen e Biden
la signora von der Leyen e Bidenla signora von der Leyen e il signor Biden
[Post originale su Twitter]

Per estensione, lo stesso principio si dovrebbe applicare anche a nomignoli e soprannomi. Prendiamo ad esempio le polemiche sollevate dal titoletto che contrapponeva Luca Parmitano ad “AstroSamatha”. Alcune persone hanno visto nell’uso del nomignolo un modo per declassare Samantha Cristoforetti da professionista a personaggio dello spettacolo. Per contro si può obiettare che l’astronauta è (forse suo malgrado?) nota al grande pubblico con questo soprannome. Ma visto che anche Parmitano è noto come AstroLuca (è anche il suo nickname su Twitter), c’erano alternative più equilibrate:
– Nomignolo + nomignolo: “AstroLuca e AstroSamantha in pole”
– Cognome + cognome: “Parmitano e Cristoforetti in pole”
– Nome e cognome + nome e cognome (un po’ troppo lunga, in questo caso): “Luca Parmitano e Samantha Cristoforetti in pole”

Un altro effetto del trattamento non simmetrico lo vediamo spesso sui giornali, che tendono a commentare i successi delle professioniste in modo paternalistico o sensazionalista. Ricorrere a nomignoli, metafore e paragoni creativi sposta il centro dell’attenzione dalla notizia di per sé al genere delle protagoniste. Per Il Messaggero le due scienziate che per prime hanno isolato il coronavirus sono “angeli della ricerca“, mentre per Il Corriere della Sera le due scienziate premio Nobel per la chimica 2020 sono “le Thelma e Louise del DNA”. Ma questi sono solo due esempi.

Bisogna dire che non tutti gli episodi simili sono figli di un sessismo più o meno involontario. L’articolo del Corriere, ad esempio, si apre prendendo in qualche modo le distanze dal paragone con Thelma e Louise, che in realtà si deve al giornale francese Le Monde. È quindi (come capita spesso) più un problema di titolo che di contenuto. Ma allora, in casi simili, di chi è la colpa? Sono i giornali a commettere gaffe oppure è il pubblico a non capire le loro reali intenzioni? Annamaria Testa ha le idee molto chiare in merito:

Il termine comunicare viene dal latino. Vuol dire “mettere in comune, rendere partecipi”. C’è comunicazione quando un’informazione, trasmessa da una fonte, viene ricevuta e compresa dai destinatari. Se l’informazione non arriva, se arriva distorta o se i destinatari la rigettano, significa che qualcosa non funziona. La responsabilità non è mai dei destinatari che non capiscono. È sempre dell’emittente, che non sa farsi capire dai destinatari a cui si sta rivolgendo.

Alla luce di ciò, la soluzione più equilibrata per parlare di scienziate, politiche e professioniste in generale è farlo in modo oggettivo e simmetrico agli uomini. Chiamiamo ogni persona allo stesso modo, che sia col nome, il cognome o col titolo professionale. Ciò non significa che si debbano evitare del tutto le figure retoriche, semmai vanno scelte con attenzione e coscienza del pubblico: più è vasto e differenziato, più è facile che non tutti colgano ironia, riferimenti e parallelismi. Purtroppo fa parte del gioco della comunicazione, l’importante è sapersi comportare di conseguenza in caso di equivoci o errori fatti in buona fede.

Ah, nel caso ce ne fosse bisogno: un’altra norma affermata ormai dagli anni Ottanta (e non solo in Italia) è l’uso del titolo “signora” al posto di “signorina” anche per le donne non sposate, promosso per equilibrare l’unica forma maschile (un uomo non sposato è sempre “signore”).

Fare attenzione a stereotipi e pregiudizi di genere

Modelli e modi di dire da superare

Sembra il 1950, e invece è il 2020 [immagine trovata sul Web]

Avrai notato che dagli aspetti linguistici siamo scivolati in modo graduale ai contenuti: è il momento di parlare delle numerose espressioni comuni che tradiscono una visione stereotipata del mondo, polarizzata sulla dicotomia uomo forte e lavoratore vs. donna debole e custode del focolare domestico. Oltre a quelle citate da Paolo Berizzi in un trafiletto su Repubblica e da Libreriamo, ma possiamo aggiungere che:

  • Donnicciola indica un uomo pauroso e debole
  • Maschiaccio indica una ragazza turbolenta e vivace
  • Un uomo che pulisce è la donna di casa
  • In una coppia, una donna con il carattere forte porta i pantaloni

Lo stesso si può dire per alcuni proverbi: “chi dice donna dice danno”, “donna al volante, pericolo costante”, “moglie e buoi dei paesi tuoi”. L’elenco potrebbe continuare e includere anche parole o espressioni dal sessismo più subdolo. Che sono tante, tantissime, e possono sfuggire anche a chi di solito pone molta attenzione al modo in cui si esprime. Vedi il caso di Internazionale, che nel 2017 si è scusato per aver usato il proverbio “la botte piena e la moglie ubriaca” in un articolo tradotto dal francese:

Internazionale è molto scrupoloso nell’evitare ogni forma di sessismo, a cominciare da quello linguistico, dove a volte forza perfino l’uso comune. […] Nel caso della botte piena e della moglie ubriaca non ci sono vie di mezzo. L’unico modo per non essere sessisti è usare un’altra espressione, o meglio ancora un altro proverbio. E salvare capra e cavoli.

Abbiamo una vasta scelta di espressioni con cui sostituire quelle sessiste. La linguista Anna Donà ne ha illustrate alcune per il suo progetto Alternative Antisessiste, ma elencarle tutte è difficile: meglio tenere le antenne sempre bene alzate quando scriviamo o traduciamo. E magari approfondire l’argomento della comunicazione inclusiva seguendo realtà come Hella Network.

Nei testi e nelle pubblicità

È oggettivo: alcune professioni sono state storicamente ad appannaggio di uno o l’altro genere, ma oggi la situazione è molto diversa. Non dobbiamo dare per scontato che nurse sia “infermiera” o secretary sia “segretaria”, ma anche non rendere Dear Dr. in apertura del modello di un’email con “Gentile dottore” e basta: esistono anche le dottoresse. Questo tipo di accortezze possono essere un vantaggio competitivo rispetto alle macchine, che non sono in grado di comprendere il contesto o valutare le implicazioni culturali di un testo. Non rinunciamoci.

È oggettivo: alcune professioni sono state storicamente ad appannaggio di uno o l’altro genere, ma oggi la situazione è molto diversa. Non dobbiamo dare per scontato che nurse sia “infermiera” o secretary sia “segretaria”, ma anche non rendere Dear Dr. in apertura del modello di un’email con “Gentile dottore” e basta: esistono anche le dottoresse. Questo tipo di accortezze possono essere un vantaggio competitivo rispetto alle macchine, che non sono in grado di comprendere il contesto o valutare le implicazioni culturali di un testo. Non rinunciamoci.

Un testo con connotazione sessista tradotto senza indugi dalla traduzione automatica di Amazon [post originale su Facebook]

In qualità di consulenti culturali ancora prima che linguistici, se un testo sorgente o il brief per un copy contiene degli stereotipi di genere, dobbiamo farlo notare. Certo, non è sempre possibile e non è detto che il nostro parere venga apprezzato, ma non sollevare il problema è una resa a priori dal punto di vista ideologico e professionale. Se servisse ricordarlo, la pubblicità sessista è dannosa: vedi le polemiche suscitate nel 2015 dallo spot della Huggies in cui le bambine pensano “a farsi belle” e i bambini “a fare gol”.

Attenzione però: nulla vieta di usare gli stereotipi con intelligenza e ironia. Vedi Heineken, che smonta il mito secondo cui la birra è una bevanda da uomini con uno spot leggero e divertente. Se c’è una cosa che possiamo imparare da Taffo Funeral Services è che si può scherzare persino sulla morte. Ma sono operazioni che vanno fatte con cura, cognizione di causa e uno stile coerente (o in totale rottura) con il brand per cui stai scrivendo, proprio in virtù della delicatezza dell’argomento.

Trattare in modo corretto i generi diversi da maschile e femminile

Sesso, genere, orientamento

Fino a ora la situazione ti è sembrata intricata? Bene: aggiungiamo un po’ di pepe uscendo dalla prospettiva binaria del genere. Per iniziare, facciamo un po’ di chiarezza sui termini con l’aiuto di varie risorse, tra cui questo glossario del Post e il sito Queer Culture Guide:

  • Il sesso ha una dimensione fisica. Lo dobbiamo alle nostre caratteristiche genetiche e anatomiche (cromosomi, ormoni, genitali).
  • Il genere ha una dimensione psicologica e identitaria. È un senso di identificazione al modello culturale di mascolinità e femminilità della propria società.
  • L’orientamento attiene alla sfera del desiderio sessuale o romantico. Possiamo essere attratti da individui dello stesso sesso/genere come no, ma anche non avere alcun tipo di pulsione.

In realtà ogni categoria è un ventaglio: una persona può trovarsi tanto agli estremi del sesso, del genere o dell’orientamento sessuale quanto in qualche punto intermedio. Andando in ordine:

  • Una persona può essere maschio, femmina o intersex, ovvero avere caratteri sessuali diversi dalla tipica divisione maschile/femminile.
  • Una persona può identificarsi come cisgender, transgender o non binaria, una visione che a sua volta include diverse identità.
  • Una persona può essere eterosessuale, omosessuale, bisessuale, asessuale e molto altro ancora. Se poi distinguiamo sentimento e sesso, c’è anche la gamma che va da etero- a omoromantico.

Se consideriamo tutte le possibili intersezioni tra sesso, genere e orientamento, le identità sono una vera galassia: parlarne e scriverne in modo adeguato richiede una certa attenzione. Anche perché, nonostante in Italia il clima per le comunità LGBTQIA+ non sia dei migliori, ci capiterà sempre più spesso di doverlo fare.

Trans, transgender, transessuale

Online troverai molti glossari sui termini LGBTQIA+ che ti aiuteranno a scegliere le parole più adatte a ciascuna situazione. Soffermiamoci però su “transgender” e “transessuale”, due termini che possono creare qualche confusione. Tanto per iniziare, non sono sinonimi:

  • “Transgender” è un termine ombrello per indicare una persona che non si riconosce nel genere che le è stato attribuito alla nascita. Un individuo transgender (o “trans”, per brevità) può essere in pace con il proprio sesso, ma identificarsi con un altro genere rispetto a quello di nascita (o addirittura nessuno).
  • “Transessuale” indica una persona che inizierà, ha iniziato o ha concluso una transizione verso l’altro sesso. Quindi, da maschio a femmina (MtF) o da femmina a maschio (FtM). Il punto del percorso in cui si trova non fa differenza in termini di autodeterminazione.

Quindi, che genere grammaticale dobbiamo usare per riferirci alle persone transgender? È più semplice di quanto sembri: di una donna transgender si deve parlare al femminile; di un uomo transgender si deve parlare al maschile. In altre parole, fa sempre fede il genere di arrivo e non quello di partenza. E come sottolinea la giornalista Francesca Vecchioni, questa distinzione si applica anche quando parliamo di queste persone al passato.

Anche se il dizionario riporta “transgender” come sostantivo, formule come “un transgender” o “la trans” possono essere considerate offensive. Tanto organizzazioni estere come la GLAAD che iniziative nostrane come Trans Media Watch Italia suggeriscono di usare la parola “transgender” come aggettivo e non come sostantivo. Ciò significa sostituire:

  • “il trans” o “l’uomo” con “la donna transgender”
  • “la trans” o “la donna” con “l’uomo transgender”

In caso di dubbi o se parliamo della categoria in generale, possiamo usare “persona⁠/⁠persone transgender”. Sempre Trans Media Watch Italia ricorda poi di evitare termini derogatori come viados e di usare con attenzione la parola “travestito”. Anche in questo caso, la ricerca online è fondamentale per non incappare in errori, seppur in buona fede.

Usare il corretto genere grammaticale significa rispettare la volontà di autodeterminazione della persona interessata: un dettaglio non così scontato. In tutto il mondo esistono molte persone che non riconoscono l’esistenza di generi diversi da quelli binari e che si oppongono a queste distinzioni. Alcune fanno persino parte di altre comunità attente alle tematiche di genere. Esiste ad esempio un femminismo essenzialista e trans-escludente (TERF), salito agli onori della cronaca a giugno 2020 per alcune dichiarazioni di J.K. Rowling. L’argomento è vasto e delicato; proseguirei piuttosto con due episodi in cui a persone transgender è stato attribuito un genere grammaticale errato.

Il misgendering, in pratica

Nel settembre 2020 in provincia di Napoli un uomo ha provocato la morte della sorella e il ferimento del compagno di lei, un ragazzo transgender di nome Ciro. Alcuni giornali e telegiornali che coprono la notizia, vuoi per fretta di parlarne o per superficialità, si riferiscono a Ciro in modo confusionario: in un articolo del Corriere della Sera viene definito in modo indistinto sia un ragazzo che una ragazza, mentre il TG2 addirittura ne cambia il nome in “Cira” e lo considera coinvolto in una “relazione omosessuale”. Questi sono esempi pratici di misgendering, ovvero parlare di una persona transgender con nomi, articoli, desinenze e pronomi non in linea alla sua identità di genere. Ma per fortuna, a distanza di mesi questi errori sono serviti a qualcosa.

Nel dicembre 2020 l’attore Elliot Page annuncia su Instagram di essere transgender. Ancora una volta i giornali che coprono la notizia fanno un po’ di confusione, ma è apprezzabile l’iniziativa di Repubblica, che oltre a correggere l’articolo pubblica un commento in cui spiega le scelte lessicali fatte per riferirsi a Elliot nel modo più corretto. Questo commento contiene però un’imprecisione. Elliot dice che i suoi pronomi di riferimento sono he o they, che Repubblica traduce con “lui⁠/⁠loro”. È una resa letterale e sbagliata: in inglese, i pronomi they⁠/⁠them vengono utilizzati per indicare una persona di genere non binario, ovvero che non si riconosce né come uomo né come donna. Il che alza di un altro livello la difficoltà a livello linguistico.

I generi non binari

Replicare il singular they in italiano non è una faccenda semplice. Con Elliot Page ci salviamo in corner: come dice nel post, per lui possiamo usare il maschile oppure il neutro. Ma come possiamo riferirci a una persona o un personaggio di fantasia senza usare né il maschile né il femminile? Questo problema può essere meno astratto e irrealistico di ciò che sembra.

Questo libro interattivo della serie Steven Universe a un certo punto domanda a chi legge quali siano i suoi pronomi di riferimento. Adattare l’uso del pronome they⁠/⁠them è un problema non da poco per le lingue come l’italiano o lo spagnolo. E infatti, per tagliare la testa al toro, nella versione spagnola l’opzione è stata omessa. Scelta senza dubbio economica dal punto di vista linguistico, che per contro rende invisibile e scontenta una parte del pubblico. Avremmo potuto rendere la terza opzione con “Pronomi neutri”, ma si poteva anche rigirare la domanda per chiedere di scegliere il genere (maschile, femminile o non binario). Nella prossima sezione vedremo che, volendo, una soluzione più fedele c’era.

La traduzione in spagnolo è poi priva di declinazioni al genere maschile o femminile, ma il libro è ricco di immagini e menzioni esplicite al genere non binario. Oltre a una disattenzione verso l’audience, l’omissione del genere non binario è in qualche modo un tradimento del franchise. Questo cartone tocca spesso tematiche LGBTQIA+ e lo stesso protagonista ha una versione intersessuale, Stevonnie, che in inglese viene trattata proprio con i pronomi they⁠/⁠them. In italiano, invece, vengono usati solo quelli femminili: un altro caso di misgendering, con la complicazione che in realtà tanto il genere maschile quanto il femminile può essere considerato un errore, perché in qualche misura appiattisce la peculiarità del personaggio.

Gli esempi dal mondo letterario, videoludico e audiovisivo sono numerosi. Per farne uno, nella serie Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina troviamo Theo Putnam, un ragazzo transgender interpretato da Lachlan Watson, persona che a sua volta non si riconosce in un genere binario. A quale genere bisogna fare riferimento per riferirsi a un personaggio non binario, magari nei sottotitoli o in un dialogo, dove la sintesi è fondamentale? Sarebbe comodo avere una terza opzione, ma in italiano non esiste. O almeno, non sui libri di grammatica. Ciò ci pone di fronte a una scelta: usare le perifrasi cercando di ridurre le parole all’osso oppure, se vogliamo e possiamo, uscire dalla norma.

Uscire dalla norma, con cognizione di causa

Un’evoluzione che interessa molte lingue

Domanda: si possono modificare i pronomi di una lingua o inventarne di nuovi per creare un genere neutro? E a chi spetta questa decisione? Proviamo a guardare la situazione al di fuori dell’italiano.

  • In inglese si è affermato in modo spontaneo il singular they come pronome non marcato. Da diversi anni è considerato corretto e preferibile anche da importanti istituzioni linguistiche e nel 2019 è stato eletto parola del decennio dalla American Dialect Society. Esistono anche altre proposte, tra cui ze/hir e ze/zir.
  • In spagnolo è diffuso l’uso di elle in luogo di él o ella. La stessa desinenza -e viene usata in sostituzione di -o e -a, che come in italiano designano maschile e femminile: al neutro, todos diventa todes. Nonostante diverse petizioni, la Real Academia Española non ha ancora ritenuto necessario aggiornare le grammatiche o i dizionari di conseguenza.
  • Nel 2015, in svedese è stato aggiunto al dizionario il pronome neutro hen, creato attorno agli anni Sessanta a partire dal maschile han e dal femminile hon. La decisione è sì arrivata dall’Accademia svedese, ma non si tratta di un’imposizione: l’uso del neutro era già diffuso. Per fare un esempio, Kivi & Monsterhund, un famoso libro per bambini in cui viene usato il pronome hen, è del 2012.
  • In cinese di Hong Kong troviamo il pronome X也: inventato nel 2015, non ha avuto una grandissima adozione per alcuni limiti pratici. Un’altra opzione utilizzata dalla comunità non binaria locale è il pronome neutro di terza persona 佢. Nella Cina continentale si è invece diffuso in modo autonomo il pronome ta per quei casi in cui il genere di una persona è ignoto o irrilevante.

Questi sono solo alcuni esempi: il tema è dibattuto e vivo in tutto il mondo. Ma torniamo a casa nostra. In italiano, quello dei pronomi è un problema relativo: la nostra è una lingua a soggetto nullo, quindi li si può spesso omettere (ad eccezione di quelli come gli⁠/⁠le, colui/⁠colei eccetera). Diverso il discorso per quegli elementi che cambiano in base al genere del soggetto, come sostantivi, participi, aggettivi. Per questi, in italiano convivono diverse soluzioni grafiche per evitare riferimenti al genere. Vediamo alcune delle più diffuse.

Asterischi, chiocciole e altri troncamenti

[Profilo Instagram della Regione Lombardia; immagine trovata sul Web]

L’uso dell’asterisco al posto della vocale finale di sostantivi, aggettivi, participi eccetera è molto diffuso, soprattutto nell’italiano scritto. Di sicuro ti è capitato di vederlo usare, magari anche in contesti più o meno formali, ma potresti aver anche incontrato soluzioni come la chiocciole o il trattino:

  • Grazie a tutt*, spero vi siate divertit*
  • Grazie a tutt@, spero vi siate divertit@
  • Grazie a tutt-, spero vi siate divertit-

Il problema principale è: come si pronunciano questi simboli? Può sembrare un problema trascurabile, ma quando leggiamo il testo ci risuona in testa in modo non troppo diverso dal parlato. Ci sarà un motivo per cui si parla di “voce” del testo. L’opzione più probabile è che vengano lasciati muti: una soluzione un po’ difficile da replicare nel parlato, ma non impossibile. Simile per ipotetica pronuncia ma non per resa grafica è il troncamento della vocale finale.

Le desinenze -x, -y e -u

Oltre ai simboli, possiamo trovare anche le lettere -x e -y usate come desinenza neutra. La prima ha un suono e può essere pronunciata, ma non tutte le combinazioni si prospettano semplici. La seconda rischia invece di essere confusa con la i latina o qualche storpiatura tipo “Ciao povery”:

  • Grazie a tuttx, spero vi siate divertitx
  • Grazie a tutty, spero vi siate divertity

Al contrario, la desinenza -u si può riprodurre senza grandi problemi sia nello scritto che nel parlato:

  • Grazie a tutto, spero vi siate divertitu

Questa soluzione è pratica, visto che la -u non corrisponde ad alcun genere noto e non è utilizzata come desinenza finale né al singolare né al plurale, ma ha delle limitazioni:

  • Crea confusione tra singolare e plurale, poiché manca una sesta vocale base che permetta di definire con precisione il numero.
  • Ricorda il suono di alcune lingue regionali italiane, come il sardo o il salentino, in cui tra l’altro ha in genere una connotazione maschile.
  • Il suono è sbilanciato verso la -o e rischia di creare uno squilibrio percettivo verso il genere maschile.
La versione in sardo del Piccolo principe [edizione Papiros]

Lo schwa

Di norma usiamo solo sette vocali: la a, la e aperta e chiusa, la i, la o aperta e chiusa e la u. In realtà possiamo pronunciare diversi altri suoni, a cui possiamo far corrispondere altrettanti simboli grafici. Lo schwa si trova circa al centro del cosiddetto quadrilatero vocalico e ha un suono “medio” distinto da tutte le altre vocali, caratteristica che lo rende un ottimo candidato per diventare il neutro.

Fonte: Wikipedia

Il nome di questo simbolo deriva dall’ebraico shĕvā, che significa “zero”, “insignificante” o “nulla”. È una vocale di timbro indistinto, non arrotondato, senza accento o tono, e rispetto alle altre si pronuncia tenendo la bocca a riposo. È un suono molto comune: lo troviamo non solo in varie lingue regionali italiane (pensa alla pronuncia di Napulǝ), ma anche in inglese (è la “a” di about). E anche se ha attirato l’attenzione di alcuni giornali e ottenuto molto spazio nel dibattito pubblico nel 2020, non è affatto una novità nel dibattito sulla ricerca di un genere neutro.

Tanto per iniziare, la proposta di Luca Boschetto di usare lo schwa per il singolare (ǝ) e lo schwa lungo per il plurale (з) risale al 2015. L’idea è nata poiché, a suo parere, le soluzioni come asterisco, chiocciola e desinenza -u sono insufficienti. Vera Gheno cita il simbolo in contrapposizione all’asterisco nel suo saggio Femminili singolari, uscito nel 2019. Sempre nel 2019 la traduttrice Elettra Tsikoudis ha scelto (anche) lo schwa per riprodurre il singular they usato nel romanzo distopico Too Like the Lightning. Il fatto curioso è che la sua scelta non è stata dettata dalla lettura di articoli sul tema: è stata la ricerca di un suono neutro a condurla verso questo simbolo.

Questa proposta gode di un buon grado di adozione e ha guadagnato una certa popolarità, perlomeno nella sua forma semplificata (un solo simbolo sia per singolare che plurale). Ad esempio, la casa editrice effequ ha scelto di usare lo schwa nei suoi saggi a partire dalla traduzione di Il contrario della solitudine di Marcia Tiburi, pubblicato a fine 2020. La scelta è ricaduta su questo simbolo per rendere la forma terza usata dall’autrice portoghese, ossia todes invece di todos e todas. Da quel momento lo schwa è diventata una norma editoriale; tuttavia non viene applicato a tutte le parole declinabili in base al genere, come mi hanno confermato via email:

Usiamo lo schwa solo quando dobbiamo, e vogliamo, enfatizzare la questione del genere. Ad esempio in Vivere mille vite parliamo a volte di community di gamers, altre volte però diciamo “ə giocatorə” proprio perché sappiamo che la comunità è sia maschile, sia femminile, sia non binaria e spesso e volentieri è invece identificata come un mondo prettamente maschile.

In tutti gli altri casi, cercano di usare l’italiano inclusivo nella sua forma più ampia, con strategie simili a quelle che abbiamo visto nelle sezioni precedenti.

Soluzioni a confronto

A questo punto potremmo chiederci: qual è allora la soluzione migliore per creare il genere neutro? Ogni proposta ha punti forti e punti deboli. L’asterisco, la chiocciola o il trattino, per esempio, hanno il limite di non corrispondere a un suono preciso. Nei commenti a un post sulla pagina Facebook La TDM è stata avanzata l’idea di lasciarlo decidere a chi legge. A mio avviso la lettura è un’attività già abbastanza faticosa senza dover riempire i vuoti lasciati da chi scrive. Ma al di là delle opinioni personali, tale mancanza ha un risvolto pratico, come ci mostra questo breve video della pagina Facebook Abbatto i muri.

In generale, tutte le proposte che vanno oltre la norma richiedono un forte intervento sulla lingua, sia in termini di morfologia che di uso delle parti del discorso. Ogni indicazione di questo tipo deve essere presa per ciò che è: una sperimentazione. Ciò non significa che queste soluzioni si possano usare senza criterio: le proposte per un linguaggio neutro inclusivo di Trans Media Watch Italia possono darti un’idea di cosa intendo. Per tornare sullo schwa, effequ si è data queste regole per gli articoli:

Se è necessario, per l’articolo usiamo semplicemente lo schwa, alla “napoletana”. Per gli articoli indeterminativi facciamo unə, ma anche in questo caso laddove si può si aggira la situazione.

La scelta di una proposta rispetto a un’altra dipende quindi da tanti aspetti. Tu quale soluzione senti più pratica ed efficace? L’azienda committente per cui scrivi ha dato delle indicazioni o espresso preferenze? La ricerca del genere neutro è coerente con il personaggio di cui stai parlando o la storia che stai traducendo? C’è la possibilità che il testo sia letto da un sintetizzatore vocale? Ma soprattutto, l’uso di un genere non si può aggirare in nessun modo?

Soluzioni a confronto

Come per i femminili professionali, le proposte per un genere neutro vengono spesso commentate e contestate più da un punto di vista ideologico che nel merito della loro fondatezza. Per capirci, uno degli articoli che ha fatto più parlare dell’argomento nel 2020 si intitola Allarmi siam fascistə e, al netto delle (di)visioni politiche, è ricco di inesattezze ed esagerazioni. Il paradosso è che parlarne con superficialità nel tentativo di screditarle sortisce l’effetto opposto: genera solidarietà, interesse, approfondimenti, discussioni. Basta vedere il numero di commenti e reazioni al post di Vera Gheno, bersaglio nemmeno troppo implicito dell’articolo.

Sempre come per i femminili professionali, anche per queste soluzioni non è raro sentire dire che sono buoniste, brutte, sgrammaticate, inventate di sana pianta, inutili. Peccato che la norma non tenga conto di elementi come l’orientamento politico, il gusto personale e la cacofonia, semmai di concetti quali utilità ed economia. E la norma la creano le persone che parlano e scrivono in un determinato periodo storico, non viene imposta dall’alto: se queste lo reputano necessario, hanno il potere di cambiarla.

La fortuna di forme come la desinenza -u, lo schwa o qualsiasi altra proposta che emergerà nei prossimi anni dipenderà dalla loro adozione e diffusione, tanto nelle comunità LGBTQIA+ quanto nel resto della società. Una delle funzioni della lingua è rappresentare la realtà: se esistono persone di genere non binario, prima o poi esisterà un modo più o meno normato per definirle. Forse attecchiranno tutte, forse nessuna, forse un’altra ancora. Forse tra dieci o quindici anni avremo in Parlamento una persona che chiederà di essere definita ministru o deputatǝ, vuoi perché non si riconosce nel genere maschile o femminile o per sensibilità verso il linguaggio inclusivo. Nulla garantisce che avrà la stessa diffusione di “ministra” e “deputata”, ma nemmeno che la proposta cadrà nel vuoto.

Considerazioni finali

Una questione di equilibrio

Nonostante tutti gli strumenti offerti dalla nostra lingua e tutti i suggerimenti di guide come questa, trovare l’equilibrio tra neutralità, chiarezza, economia e naturalezza può essere difficile. In questi casi deve intervenire la tua sensibilità verso il pubblico per cui stai scrivendo. Usare un linguaggio inclusivo significa far sì che un testo sia adatto a più persone possibile. Non deve trasformarsi in un incubo. Servono solo una buona dose di attenzione durante la stesura e una buona fase di rilettura. Ma non è così per ogni tipo di lavoro di scrittura?

D’altro canto, quando traduciamo o scriviamo per lavoro, dobbiamo saper stare a ciò che ci viene chiesto e rispettare budget e scadenze. Se l’azienda committente non vede la necessità di avere contenuti neutri, ha senso impiegare più tempo e fatica del previsto per consegnarglieli? Sta a te valutare. Piuttosto, anche quando non te lo richiedono, puoi proporre l’utilizzo di un linguaggio inclusivo come valore aggiunto, magari portando come esempio le aziende che hanno già scelto di riferirsi a un target più vario dal punto di vista del genere. Se hai la fortuna di poter scrivere le guide di stile per i progetti di cui ti occupi, potresti provare ad aggiungere una sezione dedicata all’inclusività. Tentar non nuoce.

Ci saranno anche casi in cui non avrai molto spazio di manovra. Ad esempio, l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha creato dei modelli standardizzati per il riassunto delle caratteristiche dei farmaci: attenersi al modo in cui sono formulate le indicazioni è un requisito legale. Per tradurre un contenuto simile dovrai seguire il modello italiano, in cui si dà del lei a chi legge ma si usano parole come “paziente”, “utilizzatore”, “infermiere”, “bambino” e “allergico”. Se il farmaco è destinato solo alle donne si può declinare tutto al femminile, ma se non è specifico per l’uno o l’altro genere ha precedenza il maschile sovraesteso, considerato non marcato. Non si scappa. Che poi la ricerca scientifica abbia un problema di stereotipi di genere è un’altra storia.

Un altro elemento di cui devi tener conto è la visibilità e lo scopo del testo, sia nel suo complesso che nelle sue singole porzioni. Non giriamoci troppo attorno: un microtesto o il claim di una pubblicità hanno un obiettivo e un impatto emotivo diversi rispetto a, per dirne una, la sezione sulla compatibilità elettromagnetica del manuale di un dispositivo medicale. Ciò non significa che anche i testi tecnici non possano avere un linguaggio chiaro e inclusivo, ma avere consapevolezza del mezzo e dell’esposizione di ciò che scrivi può aiutarti a scegliere su quali parti concentrarti quando devi rispettare delle scadenze.

Una questione di equilibrio

Per concludere allarghiamo un po’ la prospettiva. Usare un linguaggio inclusivo è consigliabile anche nella vita di tutti i giorni. Siamo esseri sociali e non ci muoviamo nel vuoto stagno: curare il modo in cui ci esprimiamo può essere visto perlomeno come un atto di considerazione e altruismo verso chi ci legge o ascolta, specie quando non sappiamo chi è. Piccole abitudini quotidiane come usare “ti diamo il benvenuto”, evitare il “signorina” o non definire “donna” un uomo transgender possono pian piano arrivare a influenzare la realtà, abituando l’orecchio e le persone a una lingua più inclusiva.

Ciò non significa che dobbiamo strafare. Non serve stravolgere in modo artificioso la lingua al punto di dire Amen and awomen o sforzarsi di trovare un’alternativa non sessista a “connettore maschio/femmina”. Iniziative simili sono quasi sempre prive di fondamento linguistico, logico o sociale. Basta avere chiari alcuni concetti e lavorare di creatività e la scrittura inclusiva può essere tanto naturale e discreta da non farsi nemmeno notare. È ciò che ho cercato di fare in questa guida; mi dirai tu se ci sono riuscito o meno.

“Non ci interessa il tuo genere, ci interessa che [il bagno] sia pulito” (foto mia scattata a Barcellona)

Non serve essere ministri o influencer da milioni di follower: tutti noi scriventi possiamo dare un contributo e, una parola dopo l’altra, rendere il nostro intorno sociale un po’ più equo, nei diritti e nei doveri. Possiamo fare la nostra parte in qualsiasi momento, da quando scriviamo per lavoro a quando pubblichiamo uno stato su Facebook. L’equità non è un obiettivo astratto e utopistico come sembra: uno studio del 2019 condotto in Svezia, paese dove la neutralità di genere si insegna anche a scuola, suggerisce una correlazione tra l’uso del pronome neutro hen e una riduzione dei comportamenti sessisti. Anche questo è il potere delle parole.

Risorse utili sulle altre forme di diversità

Come promesso, ti lascio alcuni riferimenti esterni per approfondire il discorso includendo anche altre forme di diversità:

Le parole contano, il corso online che ho tenuto per la scuola di traduzione e interpretariato STL Formazione
– Il sito Parlare Civile
Scrivi e lascia vivere (Di Michele, Fiacchi, Orrù)
In altre parole (Acanfora)
Le parole giuste per parlare di disabilità (Intesa San Paolo)
Come (non) parlare di disabilità (Valigia Blu)
– Il podcast Sulla razza (Uyangoda, Fernando, Mancuso)

Anche in questo caso, guarda a questi link come un punto di partenza: per diventare cintura nera di inclusività serve allenamento costante, empatia e tanta curiosità. È possibile che più ti informerai e più paura avrai di sbagliare; è normale. Anzi, sbagliare fa parte del gioco. Inizialmente sarà un po’ strano dover stare lì a soffermarsi di continuo a chiederci “Si dice o non si dice?”, ma dopo un po’ tutto verrà più naturale. L’importante è essere consapevoli di ciò, restare in ascolto e imparare a non dare troppe cose per scontate.

Ringraziamenti e saluti

Prima di tutto, grazie a te per aver letto fin qui: spero che ne sia valsa la pena. Voglio poi citare le persone che hanno contribuito alla creazione di questa guida con spunti, risorse, consigli o semplicemente dedicandomi un po’ del loro tempo. Grazie quindi a Vera Gheno, Isabella Massardo, Licia Corbolante, Silvia Barra, Annamaria Anelli, Noemi Santarella, Alice Orrù, la redazione di effequ, Elettra Tsikoudis, Gabriella Russo, Cecilia Tarella, e Beatrice Schembri e Lily Flavia Silvestri.

È stato un piacere vederti da queste parti. Se vuoi darmi un parere o hai altri consigli su come scrivere in modo inclusivo, puoi contattarmi via email o su Linkedin. A presto!